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CARLO SAFFIOTI

VIAGGIO IN PORTOGALLO - 20/27 marzo 2017



Voglio proprio mettermi in viaggio comodamente, dormendo vicino all'aeroporto di Fiumicino, quindi decido di andare a Roma il giorno prima e passare la notte in un albergo che mi ha suggerito Rita, un’amica alla quale mi sono aggregato per questa puntata portoghese che, per me, ha un po’ il sapore del ritorno dato che ho già visitato quel Paese tanti anni fa. Sto parlando della fine degli anni 70.

L'arrivo all'hotel - uno della catena Best Western - non è dei migliori in quanto il navigatore dell’auto non ha trovato il numero civico dell’indirizzo preciso e quindi ho dovuto cercarlo scorrendo piano nel traffico caotico della domenica sera.

Riesco comunque a individuare l’insegna, faccio una manovra azzardata per infilarmi al parcheggio. Breve colloquio con il portiere e sono sistemato. Mi concedo un aperitivo al bar prima di salire. Vedo subito che la camera è davvero minuscola e troppo calda. Il bagno è talmente microscopico che riesco a lavarmi con molta fatica e qualche gomito sbucciato.

La cena nel ristorante dell’hotel non ha storia: menù pretenzioso per cibi meno che modesti.

La notte dormo male per il caldo e per disperazione mi alzo presto. Dopo le regolamentari abluzioni mattutine, al momento di inghiottire la mia prima dose di medicinali del giorno, scopro di avere dimenticato l’Eutirox: mi precipito immediatamente in portineria per sapere se possono segnalarmi una farmacia nei dintorni: non sono entusiasta all’idea di essere costretto a vagare nei corridoi dell’aeroporto per cercarla.

La farmacia c’è, ma mi rendo conto che è troppo presto e quindi non sarà aperta. Mi rassegno a cercarla dopo e mi metto a leggere il giornale: almeno l’edicola vicina c’è ed è perfino aperta.

Finalmente scende anche Rita, che sembra essersi cronometrata con l’arrivo della navetta che ci porterà al terminal.

La sera precedente, appena arrivato, ho sperimentato per la prima volta il servizio di Parking Go per lasciare la macchina in un parcheggio controllato, dato che non avevo molta voglia di lasciare un Bmw nuovissimo per una settimana su quella strada trafficatissima. Si è rivelato un servizio molto buono, con addetti davvero efficienti e cortesi: non sembrava nemmeno di essere a Roma: niente indolenza né frasi strascicate.

Inoltre ero scocciato alla prospettiva di dovermi fare una lunga camminata nel buon profumo del traffico per tornare in albergo, ma un autista della ditta mi ha riaccompagnato gentilmente in albergo. Anche questa è stata una bella sorpresa: quando avevo prenotato per telefono mi avevano detto che non era previsto il ritorno in hotel. Però il mio era vicino e allora …

La zona che attraverso è orribile: la tipica periferia di una qualsiasi megalopoli, piena di negozi che vendono improbabili mobili per giardino d’occasione, pneumatici e acque minerali; molte officine polverose e magazzini enormi, deserti, pieni di merci ancora imballate nella plastica.

Salito sulla navetta, in pochi minuti arrivo in aeroporto insieme a Rita e cominciamo ad aggirarci in quei lunghi corridoi alla ricerca della farmacia che mi serve. Rita è già un po' pratica e prende il comando delle operazioni: troviamo rapidamente il negozio, compro il sospirato Eutirox, me lo metto in tasca e finalmente sono più rilassato.

Per ingannare l’attesa continuiamo a passeggiare nell'aeroporto. Rita è molto attirata dalle varie boutiques che si susseguono scintillanti, presidiate dalle commesse tirate a lucido e si sofferma volentieri a guardare tutte le vetrine. Io sono molto meno interessato e la seguo svogliato, fino a quando non mi trovo davanti un magnifico negozio di Moleskine, fornitissimo di tutti i tipi di taccuini e altre meraviglie del genere. Tampinato da una speranzosa commessa, mi metto a girellare nel negozio perché adoro quei prodotti e scopro che, fra le altre cose, vendono anche uno zainetto molto carino che, secondo me, sarebbe indispensabile e adattissimo alle mie esigenze.

In un empito di saggezza decido che non è serio cominciare a buttar via i quattrini prima ancora di partire, per cui ringrazio gentilmente la commessa e trotto via abbandonando quel luogo tentatore.

Non ho percorso venti metri che la saggezza svanisce, la voglia prepotente dello zainetto mi prende per la gola e torno indietro di gran carriera senza vergogna. L'acquisto è molto rapido e la commessa mi fa anche uno sconto del dieci per cento.

In precedenza mi ero procurato un paio di bloc-notes, uno dei quali è quello sul quale prendo questi appunti che, per me, sono essenziali per gustarmi appieno il viaggio. Anche per quanto riguarda la scelta del bloc-notes, naturalmente, ho le mie fisime: debbono essere rettangolari, con la spirale in testa, non troppo piccoli ma nemmeno troppo grandi. Colloco il mio taccuino nello zainetto insieme a penna e materiali vari per la scrittura: io mi sento molto Bruce Chatwin, in partenza per la Patagonia o l’Afganistan.



Finalmente, fra spuntini e giretti nelle boutiques, siamo riusciti a far passare la lunga attesa e possiamo salire in aereo. Tra la molta gente in attesa mi colpisce una bella spilungona bionda, con regolamentare minigonna inguinale, che non si capisce da dove arrivi: nella mia fantasia, la bellona si trasforma in una escort russa che va a raggiungere un grassone pieno di soldi. Dopo aver atteso un bel po’ di tempo e aver fatto varie, doverose file e i soliti disgustosi strip tease ai controlli, possiamo imbarcarci. La linea aerea TAP Portugal è orgogliosamente portoghese e l’equipaggio parla solo quella lingua o l’inevitabile inglese: niente italiano. Questo fatto mi sembra molto scortese, considerando che l’aereo parte da Roma.

Il pranzo, che ci viene servito a un’ora inumana, è doverosamente indecente: consiste in un panino decongelato in modo approssimativo, arricchito da una imbottitura palliduccia, la cui natura è inconoscibile; comunque sono coraggioso e lo trangugio insieme a un bicchiere di caffè bollente che, invece, risulta più che accettabile. In chiusura mi consolo bevendo anche un bicchiere di buon vino rosso.

Vista la nottataccia ho un po' di sonno e quindi riesco a dormicchiare un po’, lasciando perdere il libro che sempre mi accompagna.

Quando riapro gli occhi stiamo volando sul mare e il panorama luccica ma non mi affascina; finalmente si vede una terra e data l’ora immagino che si tratti della Spagna. Dal finestrino vediamo alcuni gruppi di montagne molto alte, con le vette innevate, bianchissime, che spiccano sull’infinita pianura ocra, punteggiata da strisce più chiare. D’improvviso, sul fondo, si vede avanzare l’oceano che assume un colore verde azzurro, forse per la nostra l'altezza.

Mentre sorvoliamo Lisbona apprezziamo l’enorme massa d’acqua che penetra all'interno del territorio e comprendiamo che si tratta dello spettacolare estuario del fiume Tago, incorniciato dalla grande città.


L’organizzazione Boscolo, il tour operator di questo viaggio, è davvero impeccabile: un bel pulmino ci attende all’uscita dell’aeroporto insieme al nostro simpatico accompagnatore, che si chiama Luigi e vive da anni in Portogallo con la moglie Cristina, sua collega di lavoro. Veniamo accompagnati in un albergo di ottimo livello, il Vila Galè, che si trova in prossimità del lunghissimo ponte che attraversa verso sud l’estuario sul fiume. La guida ci dice che è il più lungo della penisola iberica, superando di poco i mille chilometri. La bella costruzione – che adesso, dopo la “rivoluzione dei garofani”, si chiama 25 Aprile – a suo tempo è stata realizzato da Salazar e naturalmente portava il suo nome. Era una delle grandi opere del regime.

A nord di Lisbona abbiamo poi visto l’incredibile ponte Vasco de Gama, che attraversa il fiume con uno sviluppo di ben diciotto chilometri.

Il clima è decisamente buono, si cammina volentieri in una bella, tiepida luce sull’impiantito stradale sul tipo del pavé ma bianco/nero (gli juventini si sentirebbero a casa!), chiamato calçada, che è tipico di questo Paese ed è realizzato con blocchetti alternati di calcare e di basalto.

Io e Rita decidiamo di impiegare il pomeriggio libero per fare un bel giro nel centro della città e addirittura riusciamo a salire sul mitico tram giallo numero 28: un mezzo pubblico, non solo turistico, che giravolta scampanellando per tutta Lisbona facendoci scoprire mille scorci e colori.

Mi rendo conto che questa città - ma in seguito capirò che è una caratteristica di tutto il Paese - è un continuo susseguirsi di salite, anche molto ripide e discese, di scale che si arricciolano tra palazzi altissimi, di terrazzi fioriti bordati da balaustre in ferro battuto riccamente ornate secondo il gusto Liberty che è molto diffuso. Il guaio è che il materiale usato in massima parte per costruire le chiese e gli edifici importanti è il calcare e, per un italiano abituato alla profusione di marmi del Bel Paese …

La mattina dopo, con il nostro lussuoso pulmino e Luigi che si sgola in continuazione per farci apprezzare ogni cosa, visitiamo la Cattedrale e il quartiere dell’Alfama, molto pittoresco, che fa lavorare molto le nostre fotocamere.

Farò poi conoscenza con Antonio – uno dei miei compagni di viaggio, bolzanino, grande appassionato di fotografia e presidente di un circolo che si dedica a questa piacevole attività.


Lasciata la Capitale, il pulmino si inoltra verso Sintra, un tempo residenza estiva dei sovrani portoghesi, e Cascais – che per gli italiani è legata in particolare al ricordo dell’esilio del re Umberto II Savoia, che vi si trasferì dopo l’esito del referendum istituzionale, alla fine della seconda guerra mondiale. La zona è molto curata, affacciata sul mare, ricca di fiori e di scorci colorati, punteggiata da belle ville e appare frequentata da un turismo di èlite, come è confermato anche dalla presenza di ben otto campi da golf .

Raggiungiamo poi il famosissimo Capo de Roca, un promontorio battuto dall’oceano e corroso dal vento, che rappresenta il punto più occidentale del continente europeo. Nonostante il paesaggio desolato e le enormi ondate che vengono a frangersi sulle rocce di questo che un tempo si credeva fosse il confine del mondo, non riesco a dimenticare l’impressione più forte – forse perché in quegli anni non c’erano ancora così tanti turisti in giro – che ebbi quando, tanti anni fa, mi fermai ad osservare il Cabo Finisterre, molto più a nord, in Spagna, ascoltando nella sera nebbiosa il suono cupo delle sirene delle navi che salutavano la terraferma, cominciando a inoltrarsi nell’oceano.

Dopo essere rientrati in albergo, andiamo a cena in un locale tipico, ma non troppo turistico, dove assistiamo ad un bello spettacolo di fado, quella particolare musica e canto portoghese che esprimono la saudade , un termine che forse può tradursi con “nostalgia di un passato che non può tornare”, così caratteristica dell’animo di quel piccolo popolo che ha scoperto tanta parte del mondo riuscendo a costruirsi un impero colossale. Sono diversi i cantanti che si esibiscono, ma una in particolare, molto giovane, mi colpisce. Purtroppo non ho annotato il suo nome.

La mattina dopo partenza per Coimbra, con una lunga sosta a Óbidos, pittoresco paesino dove le case bianche, ricoperte dai fiori sgargianti delle buganvillee e dei gerani, fanno crepitare senza requie le nostre macchine fotografiche. In quella occasione scopriamo anche la “ginja”, un liquore di amarene dolce e piuttosto forte, che viene servito all’interno di minuscole tazzine fatte di cioccolato, nelle quali si trova anche un frutto. Il prezzo è solo di un euro per ogni bevuta e questo scatena ovviamente una gara di offerte scambievoli nel nostro gruppo che mette a rischio l’equilibrio di non pochi di noi. Sicuramente è un gravissimo attentato al mio diabete, ma io per il momento non me ne curo.

La tappa successiva è Nazarè, paesino di pescatori sull’oceano, con le case affacciate su una lunga spiaggia. Ci hanno parlato dei tradizionali costumi indossati dagli abitanti e dei colori delle case ma il vero e proprio fortunale che si abbatte su di noi – vento gelido, pioggia, grandine - non ci permette di far altro che infilarci a gruppi in qualche ristorante, nell’attesa che il pulmino venga a portarci via. Io – che non ho portato con me indumenti adeguati e nemmeno mi sogno di comprarmi un giubbotto o un giaccone - prendo un freddo terribile che mi farà stare parecchio male: persino in albergo, la notte, continuerò a battere i denti e a tremare.

Siamo ormai arrivati a giovedì e la mattinata è dedicata ad una lunga visita della cittadina di Coimbra, con la splendida Biblioteca Joanina, le numerose stradine che ci strappano scatti fotografici a non finire; con i suoi studenti universitari che indossano il tradizionale mantello nero, lungo fino ai piedi. Per la verità io – dopo il freddo patito a Nazarè - non mi sento affatto bene, ma stringo i denti e seguo disciplinatamente il gruppo nella visita alle tante attrattive cittadine.

Abbandoniamo Coimbra per raggiungere la prossima destinazione che è Aveiro, che qui pretendono di chiamare la “Venezia portoghese”, a motivo principalmente dei canali (che però sono solo due), ma soprattutto delle tipiche, lunghe barche affusolate - peraltro assolutamente diverse dalle eleganti gondole lagunari rigorosamente nere - essendo decorate con colori sgargianti e addirittura con ardite immagini di belle donne seminude, che lasciano davvero poco spazio all’immaginazione.

In serata ci godiamo una brevissima minicrociera sul fiume Douro, seguita dalla cena che consumiamo in un tipico locale pieno di gente, dove ho il mio daffare per farmi servire qualcosa di diverso dal pesce. Io continuo a stare maluccio ma faccio finta di niente.

La destinazione successiva è la grande città di Porto, conosciuta nel mondo per quel famoso vino liquoroso che anche io apprezzo molto. Nonostante i miei malanni cerco di partecipare alle passeggiate in città e alle visite dei vari monumenti. Nel pomeriggio facciamo un’escursione a Guimarães, prima capitale del Portogallo, che fu poi spostata a Coimbra per ragioni logistiche.

Ovunque, in questo Paese, ci si rende conto della fitta presenza di castelli e possenti cinte murarie. Il motivo era il rischio concreto di attacchi da parte dei “Mori” - che del resto avevano occupato gran parte della penisola iberica a partire dal 711, con la sconfitta del re visigoto Roderico (Don Rodrigo) da parte del governatore arabo Musa ibn Nusayr, che aveva inviato un corpo di spedizione comandato dal berbero Tarif ibn Malik.

La cosiddetta “Reconquista” di tale penisola da parte dei cristiani iniziò già nel 718, per culminare solo nel 1492 quando Ferdinando e Isabella, sovrani spagnoli, espulsero l’ultimo dei governanti moreschi riunendo gran parte dell’attuale Spagna sotto il loro trono.

Il viaggio sta volgendo al termine e io – sempre più malridotto - sono costretto a non partecipare ad alcune visite ed escursioni, compresa quella al villaggio di Fatima, reso famoso dalla visione della Madonna del Rosario da parte di tre pastorelli, due dei quali recentemente canonizzati mentre la più grande, poi divenuta suora, è morta a 97 anni nel 2005.

Al rientro a Lisbona avevo programmato di dedicare l’ultima mattinata libera ad una visita all’Oceanario, ma i miei malanni mi costringono a rinunciare.

Rientrato in Italia, mi ci vorrà un buon mese per rimettermi: accidenti al freddo e al non essermi procurato un buon giaccone!

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